Nonostante oramai manchi solo un giorno alla Milano City Marathon, questo post non parlerà principalmente della preparazione, delle speranze, delle tensioni per la gara di Domenica e probabilmente non tratterà solo di running. E’ semplicemente una riflessione sulla corsa, sullo sport, sul tempo che passa, sull’adolescenza forse, o sono solo poche righe di psicologia spiccia; quella accademica è stato un traguardo a lungo cercato (più o meno fortemente) e mai raggiunto, tanto per utilizzare una terminologia sportiva.
Prendo spunto da una lettura e dalla mia attività di allenatore di una squadra di basket Under13:
la prima è un articolo letto su RunLovers, in cui si parla dei pensieri che popolano la mente di un runner durante la fatica. Citando Murakami che affermava di non pensare a niente durante le sue corse, si parla di come la fatica ci faccia riappropiare del nostro corpo, ce lo faccia riconoscere, conoscere nuovamente dopo che ci abituiamo all’idea del nostro stato corporeo. E’ durante lo sforzo che ci accorgiamo dei chili in più, delle parti dolenti che magari sottoutilizziamo, e finalmente spostiamo il nostro pensiero sulle funzioni vitali, sul respirare, sul battito del cuore. Anche questo è un modo per liberarci dei pensieri che ci portiamo dietro, più o meno importanti, ma spesso non vitali.
Quando avevo appena iniziato a correre con un certo costrutto mi capitava di uscire munito di iPod e cuffie, e spesso mi lasciavo sopraffare dal ritmo dei pezzi che si susseguivano casualmente, per arrivare ad un punto in cui il mio fisico ancora poco allenato non poteva più seguire quel ritmo. Una volta quando ero particolarmente cotto, ricordo che era il periodo estivo, a poco più di un km da casa mia decisi di togliere le cuffie, spegnere l’iPod, perchè quello era l’unico modo per completare l’allenamento. Il sentire la pesantezza dei miei passi, il mio respiro, e solo questi, mi avevano restituito le forze per terminare, o per meglio dire mi avevano permesso di ricercare e sfruttare forze che ancora avevo. La musica le stava inibendo e da quel giorno ogni volta che esco a correre è il suono di ciò che mi circonda che fa da colonna sonora.
In questo modo il sintonizzarsi sulle mie sensazioni interne mi permette anche di pensare alle cose che ritengo veramente importanti e di creare una faticosa lucidità.
Mi piace correre anche perchè in quei momenti ci si libera di una delle maggiori schiavitù volontarie di questi tempi: la continua connessione, la dipendenza dagli smartphone, da whatsapp.
Nelle ore di corsa sei tu, irraggiungibile, libero e in quei momenti tu sei il mondo intero e il resto può andare avanti anche senza di te, lo dice bene il monologo finale di Memento: “Devo convincermi che, anche se chiudo gli occhi, il mondo continua ad esserci… allora sono convinto o no che il mondo continua ad esserci? …c’è ancora? …sì.”
Il mondo c’è ancora, è sotto i tuoi occhi mentre corri, ma sei finalmente disconnesso positivamente, puoi goderti la tua compagnia, e personalmente se c’è una cosa che negli anni io ho imparato ad apprezzare, quella è anche lo stare in tranquillità con me stesso.
L’abbandono del cellulare, di internet, si collega al secondo spunto, al paragone che interiormente facevo oggi durante gli allenamenti dei ragazzi, tra loro, adolescenti nel 2013 ed io, ragazzino che giocava a basket, fresco adolescente nel 1991. Vedevo le differenze di comportamento nei confronti dei miei compagni di squadra, dell’allenatore, il modo in cui l’insieme, la squadra si rapporta all’autorità del coach e l’esempio che mi si pone davanti adesso è sicuramente deficitario rispetto a quando ero io dall’altra parte della barricata. Noi ascoltavamo quello che ci veniva detto, cercavamo di mettere in pratica quello che ci veniva richiesto, ognuno a modo suo, con i nostri pregi, i nostri difetti, ma cercando sempre di migliorare, cosa che adesso non vedo nella squadra che mi ritrovo ad allenare. Sicuramente dipende anche dalle minori mie capacità rispetto agli allenatori che ho avuto nella mia carriera cestistica, ma le mancanze sono anche da parte dei ragazzi che hanno un livello di attenzione assolutamente inferiore e insufficiente per poter recepire quegli insegnamenti necessari a migliorare. E quello che meno aiuta, e che anzi vedo in parte colpevole di questa minore capacità di concentrazione è dato dal continuo pensiero al telefono cellulare portato in palestra o lasciato in spogliatoio, a quella continua connessione da cui un adolescente fa ancora più fatica a liberarsi. Ad una mia domanda oggi i ragazzi mi hanno detto che dedicano almeno 2/3 ore ad internet, al giocare al computer, alle varie console, lungi da me colpevolizzare cose che anch’io utilizzo massicciamente, ma se queste portano ad annullare le attività reali, all’aperto il problema si pone realmente.
Liberarsi da certe connessioni, dedicare tempo ad altro diventa a mio avviso indispensabile.
Per qualcuno sarà la corsa, per qualcun altro una passeggiata, una biciclettata, la lettura di un libro, qualsiasi cosa, basta che sia fatta.
M.
P.S.: E’ ora di riposare, per domenica l’obiettivo è ambizioso, serviranno energie!
molto bello !