Inseguendo un bravo comunque

È arrivata domenica, la domenica della mezza di Parma. Ridendo e scherzando (e correndo) è tutta estate che sto preparando questa gara. È il 46° allenamento dei 96 che ho a disposizione per arrivare pronto all’obiettivo finale, la maratona di Torino del 17 novembre.

ImageProtagonisti di questa spedizione parmense sono insieme a me, Michi e il Baco. Il primo dice di sentirsi un po’ più teso del solito, il che è comprensibile anche lui insegue un grosso risultato. Il secondo è tutto meno che agitato, lui è un triatleta come può essere spaventato da “soli” 21.097 metri, e poi è in modalità Zaffani…

Io non sono particolarmente teso, ho solo voglia che passi in fretta l’ora prima della partenza, che è sempre la più lunga e noiosa.

Per questa gara ho in mente un risultato che vorrei fare, uno che potrei raggiungere e uno che probabilmente farò (annunciato il giorno prima a Lello). I primi due sono ambiziosi, per ora almeno, ma perché non provarci…

Perché non provarci? I motivi potrebbero essere tanti, la paura di non farcela, la paura della fatica, il doversi confrontare con persone che sicuramente andranno più forte di te…  solitamente queste sono scuse, e quindi decido di andare e provarci.

In virtù del tempo dell’anno scorso ho la possibilità di partire dalla prima griglia, ma una volta dentro non mi sembra un gran privilegio, mi ritrovo circondato da gente di ogni tipo, dal top runner al signore sovrappeso agghindato di ogni tipo di apparecchio elettronico.

All’improvviso BANG, si parte…  cerco di defilarmi sulla sinistra per non rimanere troppo impantanato nella massa. Le gambe già dal riscaldamento mi sono parse un po’ stanche, ma ormai siamo partiti e non conta più. Il primo km va via bene,  il cronometro dice 3’30’’, decido di rallentare ma trasportato dall’entusiasmo iniziale faccio i primi 3 km più o meno sulla stessa falsa riga.

Avevo deciso di passare al 5° km in 18’55’’ e in realtà ho 15 secondi di vantaggio,  e allo stesso modo al passaggio dei 1000m ho 25 secondi di anticipo sulla tabella di marcia. Mi sento ancora bene, ho corso senza sforzo fino a questo momento e mi concedo di sperare.

Non ho fatto i conti però con il duro percorso cittadino. C’è da affrontare il pavé reso scivoloso dalla pioggerellina caduta, dalle numerose curve e dalle infinite salite (a me per lo meno sono sembrate interminabili). Verso il tredicesimo le cose si fanno dure, mi si spegne la luce. Inizio a far fatica, tanta fatica.

Per tre km almeno arranco, mi riprometto di smetterla li con la corsa e mi convinco che correre una maratona è roba da matti. Comincio a pensare che questa gara sarà una disfatta. Poi non so come un pensiero, anzi due riemergono dalla memoria. Tutte e due li ho letti su libri, uno è di Trabucchi e dice che mai bisogna cedere hai “sabotatori interni”, l’altro è di Dean Karnazes e dice che “in teoria deve far male da morire”.

ImageCerco allora di darmi una svegliata, mi riporto sotto ad un gruppetto davanti a me, la fatica è sempre tanta. Ormai il tempone non è più fattibile, ma voglio lo stesso tirare fino alla fine.

Mi accodo ad un signore, gli “ciuccio” tutta la scia che riesco.  Finalmente vedo il cartello del ventesimo km, stanco per stanco voglio almeno chiudere bene. Allungo sul signore che tanto mi aveva aiutato fino a quel momento e ne metto nel mirino un altro avanti un centinaio di metri.  L’ultimo km è durissimo, quasi tutto in salita, lo stomaco si stringe… finalmente l’ultima curva, ultimi 100 metri.

1h21’14’’ nuovo personal best, 1’21’’ in meno rispetto l’anno scorso, sono contento ma non del tutto soddisfatto.

Sarò stato bravo comunque?

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